martedì 22 marzo 2016

Referendum 17 aprile: io voto. E voto SI.




Il 17 aprile ci sarà il referendum cosiddetto "no triv".
Come prima cosa trovo essenziale che si vada a votare. Possibilmente informandosi. E decidendo per un SI o per un NO. Alla più brutta, se proprio non si è capito a fondo il significato del referendum c'è sempre l'opzione della scheda bianca o nulla.
Perché si può decidere di non andare a votare perché non si crede nello strumento referendario (in generale o per il quesito specifico) o più semplicemente perché si ha altro da fare, ma l'atteggiamento meschino di chi è per il NO e non va a votare sperando che salti il quorum non lo accetto. Sia chiaro so che è lecito e legittimo ma per me è immorale. Perché il nostro voto (o non voto) è di ciascuno di noi e nessuno può appropriarsene indebitamente e furbescamente.


E se è vero che il referendum costa, tanto vale far fruttare la spesa e sapere esattamente cosa vuole la gente, senza elementi distorsivi come un'alta percentuale di astensione che non si sa mai quanto è composta dalla sua componente fisiologica, quanto da chi è per il NO e trova maggiormente funzionale non andare a votare per far saltare il quorum e quanto da chi magari non è molto motivato dall'argomento e non va a votare perché già immagina che tanto il quorum non sarà raggiunto.

Si dice che è una questione troppo tecnica per essere semplificata con un referendum, con un SI o con un NO. Balle. Intanto il referendum abrogativo per la sua natura è soggetto a difettare in chiarezza e nell'andare dritto al cuore del problema. E poi c'è la solita motivazione che si tira fuori quando si vuole che la gente non si impicci di certe faccende e non disturbi il manovratore. La legge elettorale? E' una cosa tecnica, soglie, riparti, premi di maggioranza... ci pensiamo noi. I referendum? Roba troppo complicata, servono conoscenze troppo specifiche, lasciate fare agli "esperti del settore". E così via.

In realtà questo referendum, come molti altri, una volta inquadrato il contesto e una volta messi in fila 4 dati, è molto più politico che tecnico.
Io voterò SI ma non denigro assolutamente chi deciderà di votare NO.
A parte il rispetto che si deve sempre avere per chi la pensa diversamente, trovo entrambe le posizioni assolutamente ragionevoli e cavalcabili.

Ci sono arrivato dopo qualche giorno in cui ho cercato di approfondire la questione. Con molta fatica, perché ormai nella maggior parte dei contesti, siano essi siti internet, organi di informazione o dibattiti in tv, si parla per partito preso, c'è tanta ideologia e demagogia. Da una parte e dall'altra. Cerco di mettere in fila alcuni punti, o perlomeno ciò che ho capito io, premettendo che la più grande difficoltà che ho trovato nel maturare una decisione è che puntualmente ci si presentano davanti questioni di questa portata in totale carenza di piani energetici seri e a lunga scadenza così che ogni volta dobbiamo prendere decisioni isolate su aspetti molto specifici senza una visione di insieme.

Cosa dice la legge?
Con alcune modifiche contenute nel Codice dell'Ambiente e nell'ultima legge di stabilità, in Italia è vietato fare nuove attività di estrazione di idrocarburi entro 12 miglia dalle nostre coste (prima erano tutelate le sole zone marine protette). Si possono fare oltre le 12 miglia e si possono continuare ad utilizzare le piattaforme esistenti entro le 12 miglia. Tanto che inizialmente i referendum dovevano essere 6, poi la legge di stabilità ha recepito alcune delle richieste dei promotori del referendum (9 regioni) e ne è rimasto in piedi solo uno.
Il referendum è stato promosso da 9 regioni (inizialmente erano 10 poi l'Abruzzo si è tirato indietro), principalmente quelle su cui insistono le piattaforme petrolifere. Ma prima era stata provata anche la strada della raccolta delle firme promossa dal solo movimento "Possibile" di Civati che complice il suo isolamento e il periodo estivo, si è fermato a poco più di 300 mila firme (ne servono 500 mila).

Per cosa si va a votare?
Si parla di trivellazioni, o meglio, coltivazioni marittime. Ossia l'attività di estrazione di petrolio ma soprattutto gas naturale nelle nostre acque. Come detto occorre prima di tutto distinguere tra piattaforme situate oltre le 12 miglia marine (22 km) dalla nostre coste e quelle che rientrano in tale limite.
Il referendum riguarda solo quelle entro le 12 miglia. Le altre restano lecite, sia quelle esistenti sia le eventuali nuove.
Ed entro le 12 miglia è già vietato dalla legge creare nuove piattaforme per l'estrazione di gas e petrolio. Il referendum si occupa solo di quelle già esistenti che godono di una concessione trentennale, rinnovabile prima per 10 anni e poi ulteriori 2 volte per 5 anni (50 anni in totale) ed eventualmente all'infinito fino ad esaurimento del giacimento.
Con il referendum si chiede che fine far fare alle piattaforme esistenti entro le 12 miglia quando scadrà la concessione trentennale: si può continuare con le proroghe ad estrarre fino ad esaurimento del giacimento, oppure scaduta la concessione si deve chiudere la piattaforma? Se vince il SI scaduta la concessione si stoppano le attività estrattive, se vince il NO o se non si raggiunge il quorum resta tutto come ora e cioè si potranno estrarre gli idrocarburi fino a esaurimento del giacimento (dietro richiesta e concessione di proroghe). Parliamo sempre e solo di piattaforme situate entro le 12 miglia dalla costa.
Come detto è rimasto in piedi uno solo dei 6 referendum inizialmente proposti per cui alla fine si va a votare su quello che può rappresentare solo un dettaglio nell'ambito di una disciplina più ampia.

Di che cifre si parla (dati tratti dal Ministero dello Sviluppo Economico, Terna e GSE)
In Italia il consumo totale di gas naturale nel 2015 è stato di 66,9 miliardi di metri cubi. La produzione totale di gas naturale è stata di circa 6,9 miliardi di metri cubi, pari cioè al 10,3% dei consumi, mentre il resto viene importato.
Di questi 6,9 miliardi la gran parte viene estratto a terra o oltre le 12 miglia marine. La parte restante riguarda l'estrazione da piattaforme situate entro le 12 miglia, cioè quelle interessate dal referendum e di queste circa 1/3 hanno la concessione in scadenza e sono già oggetto di proroga di cui verosimilmente usufruiranno perché richiesta prima della modifica della legge oggetto di referendum.
Quindi il referendum alla fine incide su poco più del 20% della produzione nazionale di gas pari a circa il 2,1% dei consumi annui.
C'è poi una parte della produzione di petrolio interessata dal referendum pari al 9% della produzione totale nazionale e allo 0,8% dei consumi nazionali. Quindi quando si parla di questo referendum si fa riferimento più al gas che al petrolio.

Cosa succede se vince il SI
Come detto se vince il SI al referendum, le piattaforme situate entro le 12 miglia marine saranno chiuse allo scadere delle concessioni trentennali senza possibilità di sfruttare i giacimenti fino ad esaurimento. Quindi quel 20% della produzione nazionale (2,1% dei consumi) verrà meno. Ma non da un giorno all'altro. Alcune piattaforme chiuderanno nel 2017, altre nel 2020, altre ancora nel 2025 e così via fino ad arrivare grosso modo al 2035 quando scadranno tutte le concessioni rilasciate fino ad oggi.
Si tratta quindi di rinunciare alla produzione del 2,1% del gas che consumiamo ogni anno, ma un po' per volta scaglionando l'effetto nei prossimi 15-20 anni.
Inoltre, chi ci dice che allo scadere dei 30 anni venga chiesta sempre e comunque una proroga? E chi ci dice che questa sia sempre e comunque concessa? E quanto sono vasti questi giacimenti? Per quanti anni ancora sarebbero in grado di fornire tale quantitativo di gas? 

Sono a rischio migliaia di posti di lavoro?
In questi giorni da parte dei fautori del NO, che poi sono i fautori dell'astensione, si paventa che una vittoria del SI metterebbe a repentaglio migliaia di posti di lavoro, chi dice 4 mila, chi dice 7 mila fino ad arrivare al bomba Renzi che ha sparato 10 mila posti di lavoro.
Il PD dell'Emilia Romagna ci informa che nel settore dell'estrazione di gas e petrolio nella sola provincia di Ravenna lavorano 7.000 persone. Ma torniamo al contesto del referendum. La maggior parte delle piattaforme si trova oltre le 12 miglia marine, per cui chiudendo alcune di quelle entro le 12 miglia (e come detto ciò non si verificherebbe il 18 aprile ma solo alla scadenza tentennale delle concessioni) le società che operano nella provincia di Ravenna continueranno a essere ben presenti. Di queste migliaia di posti di lavoro quanti sono effettivamente e direttamente coinvolti nelle attività estrattive in piattaforme entro le 12 miglia? Sicuramente ci sono tanti lavoratori impiegati nelle piattaforme oltre le 12 miglia, ci sono tanti indiretti (impiegati, tecnici, ecc.) che sono indipendenti dal numero di piattaforme operanti e c'è tutto l'indotto che resterebbe comunque operante.
Quindi si perderà qualche posto di lavoro ma non nelle cifre apocalittiche che qualcuno prova a fare e soprattutto questo effetto sarà diluito negli anni. E non è detto che ci sarà gente che rimarrà a spasso perché alcuni nel frattempo andranno in pensione, altri saranno dirottati su altre piattaforme, ecc.
D'altra parte ogni volta che lo Stato interviene con delle leggi in settori dell'economia avrà degli effetti sui posti di lavoro. Se ad esempio lo Stato vuol portare avanti politiche di riduzione del traffico automobilistico, che tutti auspichiamo, non causerebbe gioco forza nel medio/lungo periodo effetti negativi occupazionali nel settore auto (benzinai, concessionari, produttori, ecc.)? Idem quando fu fatta la legge Sirchia che vietò il fumo nei luoghi pubblici, sicuramente è diminuito il consumo di sigarette causando problemi al settore del tabacco. E allora lo Stato dovrebbe rinunciare a certi provvedimenti?

Se vince il SI saremo ancora più dipendenti dalle importazioni? Aumenterà il traffico di navi petroliere o gasiere nei nostri mari?
In parte è vero, ma come detto parliamo di cifre tutt'altro che apocalittiche, il 2,1% dei consumi nazionali di gas e lo 0,8% di petrolio. E un calo della produzione in questi termini, ripeto, spalmato in parecchi anni, non è detto che debba essere per forza rimpiazzato dall'aumento delle importazioni, perché può essere ad esempio rimpiazzato:
- da un aumento della produzione da energie rinnovabili, triplicata negli ultimi 10 anni e che arriva ora a soddisfare quasi il 40% dei consumi di energia elettrica e il 17% dei consumi energetici totali.
- da un calo dei consumi energetici. Questi possono dipendere da fattori incontrollabili, come le temperature estive e invernali che incidono sull'utilizzo di riscaldamento e condizionatori, o come i volumi di produzione industriale per cui in questi ultimi anni di crisi si è assistito a una progressiva e sensibile riduzione. Però sono influenzati anche da progressi nel campo dell'efficientamento energetico e nelle nuove tecnologie.

Quanto al traffico di petroliere nei nostri mari, rispedisco l'obiezione al mittente. Come detto si parla quasi esclusivamente di gas e il 90% del gas che importiamo arriva tramite i gasdotti, niente navi.

Ovviamente l'aumento della produzione delle rinnovabili o la diminuzione dei consumi, mantenendo l'estrazione sulle piattaforme entro le 12 miglia marine porterebbero comunque effetti di diminuzione delle importazioni attuali di gas e petrolio, pertanto rinunciando a quella produzione va da sé che si avrebbero a prescindere effetti negativi sulle importazioni di gas e petrolio.

Ma c'è un altro fattore di cui non si tiene mai conto: chi produce questo quantitativo di gas nelle piattaforme entro le 12 miglia? Lo Stato? E' gas che forse a noi cittadini viene dato gratis, mentre interrompendo l'estrazione dovremmo andare a comprarlo all'estero? No, il gas viene estratto dalle compagnie del settore energetico e di queste c'è solo l'Eni (titolare a onor del vero del maggior numero di concessioni oggetto del quesito referendario) di cui lo Stato possiede circa il 30% e i cui profitti possono quindi avere impatti positivi su di noi. Ma per il resto, dobbiamo forse difendere il gas made in Italy? Quale sarebbe il danno economico tra ottenere il gas che ci serve da un'estrazione fatta vicino alle nostre coste e che compriamo dalle compagnie petrolifere rispetto a quello importato e che ugualmente dobbiamo pagare? Magari costerà un poco di più, magari saremo più soggetti a subire i conflitti geopolitici che possono influenzare i prezzi (ricordate la crisi in Ucraina di qualche tempo fa?) ma non può passare il concetto che se il referendum non passa godremmo gratuitamente di un maggior quantitativo di gas. E ribadisco che già oggi importiamo quasi il 90% del gas e non sarà un ulteriore 2% a sparigliare le carte in tavola in maniera significativa. Né avremo mai una produzione interna tale da renderci indipendenti.
L'estrazione frutta sì delle royalties che le compagnie devono versare allo Stato ma sono molto basse e godono anche di una franchigia per cui fino a un certo numero di tonnellate neppure si pagano. Da qualche parte ho letto che per l'intero 2015 avrebbero fruttato introiti per lo Stato di circa 340 milioni di Euro, pari cioè al costo di questo referendum...

L'impatto ambientale
Si è parlato di inquinamento, di rischio di terremoti, di danni al turismo e di altri possibili effetti che potrebbero avere le piattaforme entro le 12 miglia marine. Qui la questione è più delicata e complicata perché da un lato abbiamo piattaforme già operanti da anni (ed è bene ribadire che non ci saranno nuove trivellazioni) e dall'altro ci sarà comunque la possibilità di aprirne di nuove a 13 miglia dalla costa. E se ci sono effetti negativi a 12 miglia dalla costa ci saranno anche a 13 miglia. Ma tant'è un limite va comunque messo e tutte le volte che viene messo un limite fisso e rigido si va incontro a approssimazioni (basta pensare al limite dei 18 anni per stabilire chi è maggiorenne e chi no:se uno può votare, firmare contratti, ecc. a 18 anni e 1 mese, potrebbe ben farlo anche a 17 anni e 11 mesi).
Però se ci sono leggi che pongono dei limiti alle estrazioni petrolifere e queste leggi si fanno sempre più stringenti un motivo ci sarà.

Ma la Norvegia, paese notoriamente "green" è uno dei principali produttori di petrolio
Per me è la motivazione più debole a favore dei sostenitori del NO.
E' vero, la Norvegia dispone di immensi giacimenti petroliferi nelle proprie acque. Ma andando a vedere quelli principali ci si accorge che parliamo di giacimenti distanti 60, 100 o anche 200 miglia marine dalle loro coste, roba imparagonabile nella nostra realtà dove, ripeto di nuovo, non è messa in discussione l'attività estrattiva oltre le 12 miglia. E appunto parliamo di un paese per cui l'estrazione di idrocarburi è fattore strategico. La Norvegia poi ha approfittato di questa grande ricchezza per rendersi indipendente il più possibile dai combustibili fossili e incentivare l'uso delle rinnovabili e tecnologie per ridurre i consumi energetici, perché si è dotata di piani energetici lungimiranti e con ampi orizzonti temporali. Ma questo è un altro discorso.

Perché voto SI
Fatte tutte le premesse di cui sopra mi sono fatto due domande:
1) se la legge già vieta nuove trivellazioni entro le 12 miglia ci sarà un motivo. Se non avessero impatti negativi si sarebbe continuato a consentirle. E se hanno impatti negativi la semplice conclusione è di limitarne il più possibile gli effetti. Ora, se un'interruzione immediata dell'attività estrattiva porterebbe sì un grave danno alle società che godono di una concessione e che hanno quindi stipulato un contratto con lo Stato e in base a questo hanno fatto i loro investimenti, ecco che rispettare la scadenza trentennale senza concedere proroghe può essere un valido compromesso. Anche perché se le concessioni hanno avuto sempre una durata trentennale e non indeterminata un motivo ci sarà.
2) possiamo rinunciare nell'arco dei prossimi 20 anni, un poco alla volta, alla produzione nazionale del 20% di gas, pari al 2,1% dei consumi annui?

Ed è qui che per me sta il succo del referendum ed è una questione puramente politica.
Vogliamo andare verso lo sfruttamento fino all'ultima goccia dei combustibili fossili a scapito di altri "beni comuni" (inquinamento, salvaguardia dell'ecosistema marino, ecc.) oppure possiamo cercare altre strade e possiamo cercare di fare un uso maggiormente consapevole dell'energia sia dal punto di vista dell'efficienza sia dal punto di vista della riduzione dei consumi?

Se in questo paese il popolo non avesse detto per due volte NO al nucleare avremmo avuto questo forte impulso nell'uso delle rinnovabili tale da porci all'avanguardia in termini di produzione di energia elettrica da tali fonti?
Se il resto del mondo sta andando verso l'utilizzo di nuove tecnologie per dipendere sempre di meno dall'uso dei combustibili fossili (per fare un banale esempio è notizia di questi giorni che la Francia nei prossimi 5 anni stenderà 1000 chilometri di asfalto fotovoltaico), ha senso preoccuparci se tra 20 anni potremo continuare a spremere alcuni giacimenti che ci assicurano percentuali così marginali di gas?

Ecco, il referendum intacca numeri relativamente piccoli di produzione di gas e piccolissimi di petrolio, per cui sia che vinca il SI sia che vinca il NO o l'astensionismo non si avranno effetti particolarmente significativi sui freddi numeri. Ma il messaggio politico che i cittadini lanceranno ai loro governanti e soprattutto a loro stessi avrà un significato ben diverso.


P.S. aggiornamento del 4 aprile.
Viene a cadere un'altra motivazione dei sostenitori del NO/astensione: se non prendiamo il gas nell'Adriatico noi lo farà la Croazia. FALSO: la Croazia ha deliberato una moratoria di almeno due anni a qualunque tipo di trivellazione per la tutela dell'ambiente e la salvaguardia del settore turistico

4 commenti:

  1. Caro Michele, anche io voterò sì, molto convinta, e a maggior ragione dopo aver letto le tue motivazioni. Anche io credo che il significato sia soprattutto politico, culturale e sociale. E poiché auspico da tempo di invertire la rotta sulle politiche energetiche del Paese, voterò sì. E mi fa tanto, tanto piacere essere insieme a te dallo stesso lato della strada. Grazie òer le riflessioni, come sempre hai dato il tuo contributo a molti. Elisabetta

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  2. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  3. Complimenti Michele, ottimo articolo, sei, come sempre preciso e circostanziato. In effetti, rispetto a questo referendum non se ne sa nulla, in primis e, nel medesimo tempo, vanno in giro balle spaziali! Tu mi hai chiarito molte cose. Grazie!L'unico commento che mi sento di fare è sull'ultima frase. Dubito davvero che se dovessero vincere i SI i nostri governanti saranno in grado di cogliere il significato di tale risultato. L'unica cosa che i nostri governanti dimostrano di sapere cogliere quotidianamente sono i loro interessi. Per il resto, io, te, tutti, siamo solo carne da macello.

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