martedì 13 febbraio 2018

il "cul de sac" del Movimento 5 Stelle



La vicenda dei rimborsi taroccati di alcuni deputati e senatori del Movimento 5 Stelle non è potenzialmente in grado di gettare discredito al movimento.
Nulla a che vedere con episodi che hanno coinvolto esponenti di altri partiti di appropriazione indebita di soldi pubblici. Sono singoli comportamenti individuali, oggettivamente difficili da scoprire, che non riguardano le regole interne del movimento, anzi appaiono come una loro violazione.
E, una volta scoperti, pare che non si faccia sconto a nessuno, così come è accaduto in passato per la vicenda delle firme copiate a Palermo per le elezioni comunali.


Paradossalmente il Movimento 5 Stelle potrebbe uscirne anche più forte perché dimostra che al suo interno ci sono uomini e donne come in tutti gli altri partiti con le loro debolezze umane e non, ma a differenza degli altri partiti non invocano l'assenza di reato o il terzo grado di giudizio ma applicano il principio del "chi sbaglia paga".

C'è però un problema: quale punizione adottare per chi si è macchiato di questi comportamenti inqualificabili? Si tratta di deputati e senatori uscenti che sono stati ricandidati e si trovano in lista in posizione sicura per essere rieletti.

Primo problema: non si può rinunciare né alla candidatura né alla successiva elezione. Le rinunce di cui Di Maio parla sia nei loro confronti sia nei confronti del candidato massone o di quello che vive in una casa popolare a 7 euro di affitto al mese, non hanno alcun significato.
L'unica cosa che Di Maio può fare è espellere dal movimento i reprobi, mentre questi ultimi potranno dare le dimissioni.

Secondo problema: le dimissioni per poter diventare efficaci devono essere approvate dall'aula di appartenenza e tale approvazione è tutt'altro che scontata, anzi. Di solito la prima richiesta viene sempre respinta per prassi, poi se gli altri parlamentari pensano che le dimissioni non siano il frutto di un reale e personale convincimento, ma di una sorta di obbligo o ricatto imposto dal partito di appartenenza, le dimissioni vengono generalmente respinte.
Anche perché, strategicamente parlando, agli altri partiti converrà che in parlamento ci siano degli espulsi dal M5S che non dei nuovi eletti, quasi sicuramente fedeli alla linea, a sostituire i dimissionari.

Quindi tra quelli che hanno taroccato i rimborsi, quelli a cui è già stato richiesto di rinunciare per altri motivi (il massone e quello che vive nella casa popolare) e ipotetici altri per i quali troveranno motivi di incompatibilità con i valori del movimento, pronti via e la pattuglia parlamentare M5S già sarà azzoppata.

Nei desiderata di Di Maio il 4 sera il Movimento 5 Stelle potrebbe essere il primo gruppo parlamentare e cercare in parlamento i voti che gli mancano per ottenere l'incarico di formare il nuovo governo facendo un appello agli altri partiti su alcuni punti programmatici.
Ma la faccenda si complica, perché oltre ai seggi che mancano, servirà anche un ulteriore cuscinetto di sicurezza, perché i parlamentari espulsi, in attesa di dimissioni che probabilmente non saranno mai ratificate, saranno a quel punto schegge impazzite fuori dal controllo dei vertici del movimento, liberi di non restituire metà dello stipendio, liberi di "cambiare casacca" e di votare o non votare qualsiasi tipo di governo.

Quindi il Movimento 5 Stelle è entrato suo malgrado in una strada senza uscita e qualunque siano le decisioni prese ne pagherà le conseguenze. Se dovessero chiudere un occhio per conservare pattuglia di parlamentari più nutrita possibile dovranno spiegare il perché e perderebbero la faccia. Se dovessero confermare la linea intransigente che pare emergere in queste ore ne usciranno puliti, forse ancora più forti di prima, ma con una pattuglia parlamentare numericamente più debole. E con uno scenario possibile in cui si deve andare a caccia di voti non è un bel viatico.

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