venerdì 16 febbraio 2018

Processo Cappato, un appuntamento con la storia

Foto tratta da www.lastampa.it

Quello che si è momentaneamente chiuso oggi non è stato un processo come gli altri.
Un processo stranissimo, quasi come in un film. Direi che potrebbe essere una perfetta pièce teatrale, con uno sceneggiatore che ha perfettamente caratterizzato i protagonisti, una trama insolita, i ruoli che si confondono e una narrazione densa di umanità.
La vicenda ruota intorno alle due figure principali, due uomini che hanno avuto un coraggio da giganti: Dj Fabo che ha deciso di offrire la sua tragedia personale affinché diventasse una battaglia per il diritto per tutti di scegliere come morire e Marco Cappato, che mosso dallo stesso scopo, ha offerto la propria libertà personale.
E intorno a loro si sono mossi personaggi che hanno regalato momenti di altissima tensione emotiva: dalla mamma e la fidanza di Fabo con le loro toccanti testimonianze, alla PM che ingaggia una requisitoria appassinoata in difesa dell'imputato; da Giulio Golia (Le Iene) che si commuove nel rivedere e spiegare il dietro e quinte del servizio-intervista a Fabo, al giudice che impiega più di un'ora per leggere e illustrare l'ordinanza con cui rimette la questione alla Corte Costituzionale recitando non il solito ruolo del giudice che siamo abituati a vedere ma il ruolo di un professore che tiene una lectio magistralis un po' di diritto un po' di filosofia.
Marco Cappato, che il giorno dopo aver accompagnato DJ Fabo in Svizzera per la sua morte dignitosa, decide una volta per tutte di sbattere in faccia all'opinione pubblica la realtà del suicidio assistito e dell'eutanasia, contro l'ipocrisia della clandestinità e del voler voltarsi dall'altra parte quando ci si imbatte in questioni di tale portata e delicatezza.
Va dai Carabinieri e si autodenuncia ai sensi dell'articolo 580 del codice penale, articolo vecchio di quasi cento anni e che punisce con il carcere da 5 a 12 anni anche chi "agevola in qualsiasi modo l'esecuzione" del suicidio.
Dopo le prime indagini il PM decide di chiedere l'archiviazione per Cappato. Un'altra occasione persa per fare finalmente chiarezza, un'altra occasione in cui si preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto.
Invece no, il Gup, anziché accogliere la richiesta del PM impone l'imputazione coatta per Cappato: deve essere processato. Scene da film, scene da pièce teatrale.
Una decisione che a prima vista suona come un inutile accanimento ma che in realtà schiude la porta verso la giornata storica di oggi.
Il processo come ho detto è qualcosa di incredibile. Grazie a Radio Radicale ho potuto seguirne tutte le udienze ed è stata una esperienza che in qualche modo mi ha segnato.
La PM chiede per Cappato l'assoluzione: ciò che ha fatto non deve essere inteso come reato ma come aiuto per DJ Fabo per esercitare il suo diritto di autodeterminazione, il suo diritto ad una morte dignitosa. Se non ci fosse stato Cappato, DJ Fabo avrebbe trovato qualcun altro disposto ad aiutarlo, finanche un sicario pronto ad ucciderlo in cambio di un compenso.
"Noi rappresentiamo lo Stato non siamo l'avvocato dell'accusa. Io mi rifiuto di essere l'accusa in questo processo. E' nostro dovere cercare anche le prove a favore dell'imputato. Io rappresento lo Stato e lo Stato è anche Marco Cappato". Frasi da film, frasi da pièce teatrale.
NO signori della corte, dice Cappato. "Se devo essere assolto perché il mio aiuto viene considerato marginale, preferisco essere condannato. Il mio aiuto è stato determinante. O si dice che era diritto di Fabo farsi aiutare o mi si condanni".
La PM che chiede l'assoluzione, l'imputato che chiede di essere condannato. Scene da film, scene da pièce teatrale.
Ed oggi la sentenza.
Una sentenza di condanna avrebbe voluto dire che avremmo dovuto continuare a voltarci dall'altra parte, che di suicidio assistito ed eutanasia non si può neppure parlare. Si continui ad andare in Svizzera, ma senza farlo sapere a nessuno.
Una sentenza di assoluzione avrebbe voluto dire creare sì un precedente giurisprudenziale, un po' come accaduto per il dottor Mario Riccio che fece la sedazione profonda a Piero Welby consentendogli di esercitare il suo diritto di rinuncia alle cure senza essere costretto a morire tra atroci sofferenze, ma avrebbe anche voluto dire che si è costretti ogni volta a operare in una situazione di incertezza normativa, ad essere ogni volta suscettibili di un procedimento giudiziario.
E allora arriva il gran finale, un finale a sorpresa. Come in un film, come in una pièce teatrale.
I giudici decidono che è ora di dire basta. Si decida una volta per tutte se il diritto all'autodeterminazione è un diritto pieno in capo ad ognuno di noi, se esiste il diritto a scegliere come morire, a scegliere una morte dignitosa e, se così fosse, non può esistere il reato di aiuto al suicidio. E chi può deciderlo se non il nostro massimo organo giudicante?
La parola alla Corte (Costituzionale).
La storia per ora finisce qui. Tra qualche mese arriverà il verdetto e sarà un appuntamento con la storia.
E come in tante altre occasioni, a fare ciò che altri avrebbero dovuto fare da tempo, ci hanno pensato persone "normali", persone che hanno messo impegno, perseveranza e offerto il loro corpo (uno il corpo vero e proprio e uno sotto forma di libertà personale) per un ideale.
Due uomini "normali", due eroi con un coraggio da giganti: DJ Fabo e Marco Cappato.
P.S.1: ci sarebbe lo spazio per un finale ancora diverso e ancor più sorprendente. In parlamento giacciono dimenticate in un cassetto da 4 anni e mezzo 65.000 firme raccolte su una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione di suicidio assistito ed eutanasia. Il nuovo Parlamento potrebbe come primo atto aprire quel cassetto, prendere quelle firme, e affrontare l'argomento. Prima che lo facciano i giudici, prima che poi ci lamentiamo dell'ingerenza dei magistrati.
Ma c'è qualcuno che ne sta per caso parlando in questa squallida campagna elettorale?
P.S.2: nel caso la Corte rigetti la richiesta di illegittimità dell'articolo 580 del codice penale relativa alla parte secondo cui è punibile chiunque "agevola in qualsiasi modo" il suicidio assistito e di conseguenza il tribunale emettesse sentenza di condanna per Marco Cappato, il giorno dopo dovrò andare a costituirmi per aver aver forse commesso questo reato.
P.S.3: oggi è San Valentino. Il vero perugino non lo festeggia ma oggi ho ugualmente fatto anche io il mio gesto di amore e ho provveduto ad iscrivermi all'associazione Luca Coscioni.

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